La stagionatura del formaggio

Nel processo di trasformazione del latte in formaggio si possono distinguere diverse fasi, alcune comuni a tutte le tipologie di formaggio, altre specifiche solo per determinati tipi.

Per prima cosa, la caseificazione prevede tutte le operazioni di preparazione del latte, che può essere sottoposto a standardizzazione a titolo di grasso e ad eventuali trattamenti termici come termizzazione o pastorizzazione. In un secondo momento, avviene la coagulazione del latte, che passa dalla forma liquida a una consistenza semisolida e quasi gelatinosa per azione del caglio e di batteri lattici, dopodiché seguono le attività che permettono alla cagliata di raggiungere la giusta composizione, ossia il livello di umidità più adatto e la corretta quantità di sale. A quel punto, si passa alla stagionatura, un periodo di maturazione più o meno lungo che rappresenta il vero momento di trasformazione della cagliata in formaggio, e infine al confezionamento.

La stagionatura [1] è una fase molto delicata nella produzione del formaggio, dal momento che è quella in cui hanno luogo tutti i processi biochimici di trasformazione dei costituenti del latte, che conferiscono al prodotto finale l’aspetto, la consistenza, il sapore e il profumo che li caratterizza. Ovviamente, l’intensità e la durata del periodo di maturazione variano a seconda delle diverse tipologie di formaggio, ma in linea generale le reazioni che trasformano la cagliata sono agevolati dalla presenza di enzimi che agiscono al meglio in determinate condizioni. Vi sono tre eventi principali che avvengono in fase di stagionatura: la fermentazione lattica, la proteolisi e la lipolisi.

Durante la caseificazione, il lattosio si trasforma per lo più in acido lattico e l’acidificazione, iniziata in caldaia o durante la formatura, si completa durante la stufatura in camera calda. Il 90% dei carboidrati del latte vengono rilasciati nel siero sotto forma di lattosio o lattato, ma la cagliata messa nello stampo può contenere fino all’1,5% di zucchero: il lattosio residuo viene solitamente metabolizzato dai microrganismi dello starter, ma se quest’ultimo è costituito da batteri lattici che non utilizzano il galattosio, esso potrà rimanere nel formaggio maturo contribuendo alla fermentazione propionica (quella che provoca l’aspetto lucido dell’Emmental) o alla fermentazione butirrica (che causa un gonfiore tardivo nei formaggi dalla lunga stagionatura).

La proteolisi indica un insieme di trasformazioni della caseina per azione di complessi enzimatici che concorrono alla formazione della struttura del formaggio, al rilascio di componenti sapide durante la masticazione e alla modificazione della consistenza e del pH della pasta (a causa della produzione di ammoniaca e anidride carbonica).

La lipolisi, invece, il processo metabolico di scissione dei trigliceridi con conseguente liberazione di acidi grassi liberi, ha un ruolo molto importante nella formazione del gusto e dell’aroma del formaggio: nella maggior parte dei casi viene vista come un fenomeno negativo che conferisce al prodotto un profumo particolarmente forte e intenso, ma nella cultura casearia italiana è considerato un evento gradito, se ben controllato, come nel caso dei formaggi duri a base di latte di pecora e di alcuni erborinati come il gorgonzola.

Le condizioni di temperatura, umidità relativa (UR), ventilazione e durata della stagionatura contribuiscono alla formazione delle peculiarità di ogni tipologia di formaggio. I formaggi con una stagionatura lunga oltre 9 mesi, come i grana, sono stagionati a temperature superiori a 12°C in ambienti con UR inferiore al 90% e si caratterizzano per una crosta compatta e resistente; invece quelli a pasta molle, che non maturano più di 60 giorni, sono stagionati a temperature di 2-8°C in ambienti con UR superiori al 90% per impedire la formazione di una crosta troppo spessa.

 

Fonte: http://www.assolatte.it

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